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museo della navigazione nelle acque interne

 



Orario di apertura

  

 

Lunedì, martedì, mercoledì chiuso


Giovedì dalle 15 alle 18


Venerdì dalle 8:30 alle 13:30 e dalle 15 alle 18


Sabato dalle 8:30 alle 13:30 e dalle 15 alle 18


Domenica dalle 8:30 alle 13:30



per info e prenotazioni: 3405341932


Direttrice: Sara Manetti
 

 

documenti:

 

La piroga e il suo Museo

La piroga monossila dell’Isola Bisentina

La navigazione nelle acque interne dell’Italia

Storia del Museo

 

La Piroga e il suo Museo

 

Il Museo della Navigazione nelle Acque Interne è nato per presentare al pubblico la grande piroga preistorica dell'Isola Bisentina.

Si tratta della prima imbarcazione monossile(1) (scavata in un tronco d’albero) di questo tipo scoperta nei laghi del Lazio, individuata nel 1989 alla profondità di circa 14 metri, nei pressi dell'Isola Bisentina, e riportata in superficie nel novembre dello stesso anno, dopo che lo scavo aveva dimostrato che il relitto era privo di carico.

La piroga, ricavata da un unico tronco di faggio, è stata sottoposta ad analisi radiometrica che ha restituito un’età calibrata di 1365-1020 anni a. C., permettendo di datare l’imbarcazione tra la fine del Bronzo medio e il Bronzo finale.

L’imbarcazione è lunga m 6,16, la larghezza oscilla tra cm 67 e cm 71, l’altezza varia tra cm 19 e cm 27, la profondità della cavità interna va da cm 15 a cm 24. Ad un’estremità presenta un anello, incompleto, ricavato a risparmio dal tronco di faggio; all’estremità opposta si conserva solo un’appendice dello scafo, difficile da interpretare perché in cattivo stato: potrebbe trattarsi di un residuo di un analogo anello. Questi due elementi permettono di ipotizzare altri impieghi oltre a quello di scafo singolo: infatti gli anelli avrebbero consentito di collegare due piroghe eguali, realizzando così una piroga doppia, un tipo di natante che avrebbe garantito una maggiore stabilità. Sarebbe stato possibile anche utilizzare due o più piroghe affiancate come galleggianti e, ricoprendole con un tavolato, trasformarle in una zattera o in un pontone.

La caratteristica delle estremità forate non è molto frequente: in Italia compare solo su due piroghe dell’area settentrionale, datate all’età del Bronzo.

La piroga dell’Isola Bisentina presenta sul fondo due serie di fori: tre rettangolari e tre circolari, chiusi da tasselli di legno. Si tratta della traccia del sistema di lavorazione dello scafo: per controllare il raggiungimento dello spessore previsto per il fondo della monossile il carpentiere apriva una serie di piccoli fori verticali sulla superficie esterna del fondo dello scafo parzialmente scavato; una volta intercettata l’estremità dei fori scavando l’interno della monossile, lo scavo aveva raggiunto su tutta la lunghezza del fondo la profondità fissata. Al termine del lavoro i fori erano chiusi da caviglie di legno.

La piroga è giunta fino a noi grazie alle acque del lago, sul cui fondale melmoso era adagiata, ma l'acqua che ha conservato l’imbarcazione ha anche modificato profondamente la struttura del legno e ha imposto un lungo e complesso intervento di restauro.

Le cellule del legno rimasto immerso per secoli sono riempite dall'acqua: il legno archeologico perde quindi la resistenza meccanica delle cellule. Finché l'oggetto resta bagnato ha ancora una certa consistenza fisica e quindi conserva le caratteristiche anatomiche del legno e morfologiche del reperto, ma se asciuga rapidamente il disseccamento provoca il ritiro e la compressione della fibra lignea e di conseguenza la deformazione dell'oggetto.

Esistono diversi tipi di trattamento che consentono di eliminare l'acqua contenuta nelle cellule in modo controllato senza provocare il trauma del disseccamento. Per la nostra piroga è stato utilizzato il consolidamento con PEG (polietilglicole) in soluzione acquosa, che garantisce per i legni maggiormente degradati un sicuro successo, perché le molecole del PEG, trasportate dall'acqua, penetrano all’interno delle cellule e le riempiono completamente, non trovando più resistenza da parte di strutture ancora compatte e “sane” di materiale ligneo, come la lignina o la cellulosa.

Durante il trattamento la percentuale di PEG nella soluzione con acqua aumenta gradualmente e, a consolidamento finito, occorrono diversi mesi per una asciugatura completa.

Per il consolidamento, l’asciugatura ed il restauro completo della piroga sono serviti molti anni.

IL MUSEO DELLA NAVIGAZIONE NELLE ACQUE INTERNE

Intorno alla piroga dell’Isola Bisentina il Museo della Navigazione nelle Acque interne di Capodimonte (VT) sviluppa una panoramica sulla navigazione in Italia Centrale dalla preistoria fino ad età moderna.

Fiumi come il Tevere e l'Arno hanno visto lo sviluppo di imbarcazioni di grande manovrabilità con scafi a fondo piatto e largo, per scivolare in tratti turbinosi senza farsi trascinare, ed estremità delle fiancate molto rialzate per diminuire il pericolo di rimanere incagliati nelle secche.

Porti e tratti prossimi alla foce dei fiumi più importanti accoglievano sia le imbarcazioni tipiche della navigazione marittima che quelle per la navigazione fluviale e portuale, come testimoniano i ritrovamenti archeologici e le raffigurazioni su vasi, steli, lapidi, affreschi.

Sui laghi, non essendovi problemi di manovrabilità, correnti ed incagliamenti, le fiancate delle imbarcazioni erano più rettilinee e più basse.

In prossimità di luoghi con canneti la prua era appuntita, mentre dove il fondale era poco profondo, come in stagni o paludi, si preferiva la forma con poppa e prua tronche e sponde basse.

Nelle paludi costiere, dalla foce del Volturno alle Paludi Pontine, alla Maremma ed alla foce dell'Arno, la vita pastorale, le attività di caccia, di piccola pesca e di raccolta di vegetazione palustre, hanno determinato l’uso di imbarcazioni simili per forma, denominate in modi diversi: bufale, barche, sandali, scafe.

La fase della progressiva scomparsa delle imbarcazioni tradizionali è iniziata intorno al 1950, determinata sia dalla introduzione dei motori e di nuovi materiali prodotti dalla tecnologia industriale, sia dalla modifica delle attività economiche collegate alle acque, dovuta allo sfruttamento dei laghi, dei fiumi e del mare a fini turistici.

 

L’esposizione privilegia l’aspetto didattico, per mezzo di video, modelli, postazioni interattive, pannelli e schede di sala, senza tralasciare l’aspetto conservativo e quello della ricerca scientifica. Il Museo è infatti dotato di una sala interattiva e di una video-biblioteca specializzata in storia della navigazione e in archeologia subacquea.

Come prima cosa abbiamo scelto di far raccontare alla piroga la probabile storia della sua fine e della sua “rinascita”, mediante una videoproiezione che si aziona all’entrata del visitatore nel vestibolo. Da qui si passa al salone principale, dove ci si trova al cospetto dell’imbarcazione che naviga sul pelo dell’acqua del lago, all’interno della sua teca piramidale, che si innalza dal pavimento di cristallo.

All’estremità opposta della sala una porta scorrevole immette nella Sala dei Modelli: questa è la sezione del Museo dove, dalle impressioni, si passa alle informazioni, all’ampliamento delle conoscenze sull’imbarcazione specifica esposta, sulle imbarcazioni utilizzate sui fiumi, sui laghi, nelle paludi, sulle attività per cui le imbarcazioni venivano progettate e realizzate, sulle strutture necessarie a farle navigare e sostare, in una parola sulla “Navigazione nelle Acque Interne”.

In primo luogo si forniscono tutte le informazioni sulla piroga esposta e sulla piroga di Monte Bisenzo, rimasta sul fondo: una presentazione video consente di “vedere” le immagini del ritrovamento, del restauro, dello studio, corredate da didascalie. Dei modellini in legno consentono di apprezzare la forma e le dimensioni delle piroghe quando erano in vita. Una scheda di sala è pensata per chi vuole approfondire l’argomento e conoscere informazioni bibliografiche. Una serie di filmati girati durante il recupero, il restauro e la musealizzazione della piroga è a disposizione dei visitatori più esigenti, degli amatori e degli studiosi, in un’apposita sala, compresa nel percorso museale, ma divisa dall’area espositiva.

Nella sala espositiva, oltre alle due piroghe, sono esposti i modellini in legno di altre 7 imbarcazioni in uso nelle acque interne dell’Italia Centrale tra VIII secolo a.C. e XX secolo d.C.

I diversi tipi di imbarcazione sono stati scelti per raccontare delle storie interessanti: abbiamo così riprodotto l’unica imbarcazione monossile ritrovata finora in una necropoli, la barca del Caolino, che ci racconta di un probabile proprietario pescatore e dei tessuti deposti sul fondo come corredo; la “Nave F” affondata nell’antico porto fluviale romano di Pisa, che consente il racconto dell’organizzazione dei porti, dei canali e del trasporto via acqua in epoca classica. La piroga monossile del Trasimeno ci racconta la persistenza dell’uso delle piroghe, così come la monossile delle paludi Pontine, ma, con le evidentissime differenze di forma e dimensioni, ci raccontano anche i diversi usi delle imbarcazioni. Le barche del lago di Piediluco, ricostruite partendo non da scafi realmente esistenti, ma dalla raffigurazione operata a bassorilievo nel XIV secolo sul portale della chiesa di San Francesco, ci consentono di parlare della comunità che le ha prodotte, usate e raffigurate. Infine le barche del Tevere e del Lago di Bolsena: qui i modellini consentono l’integrazione tra documento fotografico, pittorico, tradizione orale, studio antropologico. Sono imbarcazioni di cui chi visita il Museo può conservare memoria diretta perché in uso, soprattutto quella del lago di Bolsena, fino a pochi decenni fa e nello stesso tempo testimoniano di una vicinanza dei romani con il loro fiume e degli abitanti del territorio con il loro lago, sentimento quasi scomparso.

La sala si conclude con un altro ritrovamento subacqueo muto ma “parlante”: il relitto delle tegole di Punta Zingara, all’Isola Bisentina, esposto e illustrato attraverso il grande foto mosaico che occupa la parete di fondo, sopra a tegole e coppi che fanno parte del carico, recuperato nel corso delle operazioni subacquee che si possono osservare nel video, volutamente senza spiegazioni scritte o narrate, con il solo audio del respiro dei subacquei. Anche in questo caso nella mediateca è a disposizione del visitatore più curioso e/o dello studioso un video più lungo e dettagliato, con il commento audio che spiega la storia del relitto, della sua scoperta e del suo arrivo nel Museo.

Il Museo si completa con due sale multimediali: l’area di consultazione della banca dati sulle imbarcazioni, sulla navigazione, sulla pesca, che dovrà essere aggiornata con regolarità, e la Mediateca. Nella sala studio, oltre alla Banca Dati, è possibile collegarsi ai siti web dedicati all’archeologia subacquea, alla navigazione antica e moderna, alle attività collegate con l’argomento del Museo, ma anche fermarsi a leggere le riviste e i testi scientifici, tecnici, didattici, conservati nella Mediateca.

La Mediateca funziona come Biblioteca e Videoteca specializzate negli argomenti dell’esposizione, e consente ai visitatori di usufruire di una visione privata dei video prodotti per il Museo e di tutti quelli in commercio o prodotti da altre realtà scientifiche. La visione comunitaria è assicurata per mezzo dell’impianto di videoproiezione installato nella Sala Conferenze.

Gli “oggetti” esposti non finiscono con il carico del relitto: la grande sala conferenze ospita due imbarcazioni, che da sole potrebbero essere l’anima di altri due musei, considerando l’interesse delle storie che possono raccontare.

La Naue del lago di Posta Fibreno racconta una serie di storie: la tecnica di costruzione con chiodi forgiati a mano, il suo utilizzo come barca per trasportare le alghe e le erbe palustri del lago, che servivano come foraggio, la sua forma, adatta per raggiungere l’isola galleggiante di cui parlano gli autori latini.

La barca tradizionale del Lago di Bolsena, localmente detta “la bbarka” chiude idealmente il ciclo del racconto iniziato dalla piroga: si tratta dell’ultimo tipo di imbarcazione artigianale, realizzato completamente in legno, in uso sul lago, ma, in particolare, si tratta anche (per ora) dell’ultimo esemplare costruito dall’ultimo Maestro d’ascia del lago, Luigi Papini.

Questa opera, realizzata appositamente per il Museo e filmata in tutte le fasi, dalla costruzione al varo, vuole essere l’esemplificazione del concetto di Museo moderno: una struttura in grado di fare ricerca storica e antropologica, anche in modo sperimentale e di trasmettere i risultati di questa ricerca in modi universalmente comprensibili.

La bbarka potrà navigare ancora, davanti al Museo che racconta la storia della piroga sua antenata.

Museo che non dovrà restare immobile: nelle intenzioni del Supervisore Scientifico di tutto il progetto, Patrizia Petitti, dell”Amministrazione Comunale di Capodimonte e mie, il Museo dovrà diventare un Centro di Ricerca e Documentazione sulle attività connesse alla navigazione nelle acque interne, collegandosi al mondo della scuola e dell”Università e creando una rete con gli altri Musei e Centri di Ricerca che si occupano degli stessi argomenti in altri territori.

 

Anna Maria Conti – Società Cooperativa ARX

primo direttore del Museo 

 

Museo della Navigazione nelle Acque   interne

Viale Regina Margherita

01010 Capodimonte (VT)

Tel/Fax  0761-872437


 

 

 

  1. Di recente l”uso del termine “monossile” è stato oggetto di una polemica che ritengo francamente sterile: termine mutuato dal greco, viene coniugato al femminile o al maschile dagli estensori dei più importanti Vocabolari della Lingua italiana. Pertanto dovremmo dire “la piroga monossila”. Ritengo però che si possa tranquillamente continuare ad usare il termine neutro “monossile” per due semplici considerazioni: il termine greco che indica “legno” è neutro, inoltre, da quando sono state scoperte le prime imbarcazioni scavate in un unico tronco d”albero, sono state denominate “monossili” al plurale e “monossile” al singolare. Credo che attenersi alla terminologia tradizionale non tolga niente alla ricchezza della nostra lingua, minacciata da ben altre tendenze, e consenta invece una comunicazione e quindi una comprensione più immediata.

 


 

La Piroga

 

La Piroga Monossila dell’Isola Bisentina

 

Dall’avvistamento all’esposizione: una storia lunga 21 anni.

    Il 1 settembre del 1989 Massimiliano Bellacima, durante una ricognizione subacquea eseguita nell’ambito delle ricerche geologiche svolte dal Museo Territoriale del Lago di Bolsena, individuò per la prima volta la piroga monossila dell’Isola Bisentina. L’imbarcazione affiorava dal fondale limoso alla profondità di m 13,50, non lontano da Punta Calcino. Tra il 13 novembre e il 7 dicembre dello stesso anno, si è svolto l’intervento della Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, finalizzato allo scavo, rilievo e recupero dell’imbarcazione. La direzione dei lavori inizialmente è stata affidata a Maria Antonietta Fugazzola Delpino, che ha seguito tutte le successive fasi fino al luglio 1990, quando a conclusione del recupero, la piroga è stata depositata nella vasca per essere poi restaurata.

    Il recupero del manufatto è stato un’operazione travagliata. Già il sopralluogo preliminare alla campagna di scavo, mise in luce il cattivo stato del legno dell’imbarcazione e fu perciò escluso il trasposto su una lettiga appositamente costruita a favore del recupero dello scafo inglobato nei sedimenti del fondo, all’interno di una cassa di contenimento rigida. Al termine del rilievo del relitto, la cassa fu perciò calata priva del fondo nel lago ad ingabbiare sia l’imbarcazione che la zolla di deposito sul quale la piroga poggiava. Successivamente le tavole del fondo furono fatte penetrare a forza attraverso i sedimenti lacustri e la cassa fu così chiusa. Il 7 dicembre questo grande contenitore fu trasferito all’interno del porto di Capodimonte, dove venne reintrodotto in acqua in attesa di trovare una struttura adeguata per procedere con i lavori di consolidamento e restauro. A tal proposito, furono valutate le idoneità di diverse sedi, sia presso il lago di Bolsena che a Roma. Alla fine si decise di non sottoporre la piroga al trauma di un viaggio, non avendo a disposizione una cassa apposita per il trasporto. Il comune di Capodimonte offrì, a quel punto, i locali dell’ex mattatoio, situato vicino al porto e quindi raggiungibile con un breve percorso. Il 27 luglio del 1990, fu effettuato il trasferimento della cassa contenente il manufatto in questo edificio dove, per mantenere la piroga in acqua, fu realizzata una vasca in muratura lunga m 10, larga 5 e profonda 1,20.

Nel 1991 fu assegnato dalla Soprintendenza il compito di progettare ed eseguire l’intervento di conservazione ad Ingrid Reindell, restauratrice specializzata nel consolidamento di manufatti in legno umido e bagnato. La Reindell il 19 ottobre del 1993, dopo varie sperimentazioni, avviò la prima fase di liberazione della piroga dai sedimenti lacustri che la inglobavano. Questo intervento si concluse solo nel 1996 con il trasferimento del relitto dalla cassa usata per il recupero alla vasca di acciaio appositamente costruita per la fase di consolidamento.

    Quanto alla successiva operazione di consolidamento, dopo aver preso in esame diversi tipi di interventi, si decise per il consolidamento mediante PEG 4000 (polietilglicolene) in soluzione acquosa. Questo metodo, sperimentato da più di mezzo secolo, garantisce per i legni maggiormente degradati un sicuro successo, anche se necessita di molto tempo. Il trattamento deve, infatti, procedere lentamente per mesi ad una temperatura compresa tra 55°C e 60°C, per evitare la crescita di microrganismi dannosi per il manufatto. Le molecole di PEG, trasportate dall’acqua, penetrano nelle porosità della struttura cellulare del legno sostituendo così l’acqua che le riempie per evitare il loro collasso. Durante l’intervento la percentuale di PEG disciolto in acqua deve aumentare gradualmente e, a consolidamento finito, occorrono molti mesi per una completa asciugatura.

    Nel 1998 si diede inizio al trattamento a partire da una concentrazione iniziale di PEG del 5% e a temperatura di 55°C. Ogni sei settimane circa si aumentava la concentrazione del 5% e si raggiunse, non senza incidenti di percorso, la percentuale al 95%  non prima di novembre del 2000. A quel punto l’impianto venne fermato: fu tolta tutta la miscela, tutto fu sciacquato accuratamente con acqua, riposto nella vasca orami vuota di acciaio, per la lunga e lenta asciugatura durata fino all’ottobre del 2001. A quella data, tornata ormai l’imbarcazione ad una condizione solida, è stata trasferita a Roma per procedere alla ricomposizione dei frammenti su un supporto di acciaio appositamente studiato anche ai fini della presentazione museale. Qui, dopo aver appoggiato e bloccato i vari frammenti sul supporto, si è proseguito con l’incollaggio e le stuccature mediante resina acrilica. Questo lungo, difficile e tormentato restauro si è concluso nel settembre 2005 con il rientro della piroga a Capodimonte, nel piccolo museo allestito nel frattempo nell’ex mattatoio, luogo della sua prima lunga degenza.

 

Le analisti e le caratteristiche tecniche della piroga

    Per stabilire la datazione, il legno della aè stato sottoposto ad analisi radiometrica, conosciuta anche come ‘Carbonio 14’, eseguita presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università “La Sapienza” di Roma. Tale analisi ha stabilito che lo scafo sia collocabile all’incirca alla fine dell’Età del Bronzo, cioè tra il 1310 e il 1080 a. C.

    Quanto all’essenza, le analisi xilotomiche, eseguite presso il Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università “La Sapienza” di Roma, hanno stabilito che la piroga dell’Isola Bisentina è stata ricavata da un unico tronco di faggio.  

    Per quello che riguarda le caratteristiche tecniche, è evidenta quanta cura sia  stata dispiegata nella realizzazione di questa imbarcazione. È una monossila, ossia è stata ricavata da un unico tronco di faggio con una lunghezza complessiva di m 6,16. La sua larghezza oscilla tra cm 67 e 71 e la sua altezza tra cm 19 e 27. La profondità della cavità interna varia da cm 15 a 24. Lo stato di conservazione non è buono e il bordo è eroso e fratturato. Quanto alle pareti, le due estremità presentano spessori consistenti che decrescono con gradualità verso l’interno dell’imbarcazione. Anche lo spessore del fondo è irregolare, varia da un massimo di cm 4 ad un minimo di cm 1,3. C’è la presenza, comunque, di un accorgimento tecnico per controllare la regolarità di quest’ultimo. Il carpentiere ha, infatti, aperto una serie di fori a distanza regolare sulla superficie esterna del fondo per raggiungere su tutta la lunghezza una profondità fissata. Alla fine del lavoro i fori sono stati chiusi da tasselli lignei.

   Oltre a ciò, la piroga dell’Isola Bisentina è caratterizzata anche da un altro particolare elemento strutturale non molto frequente in Italia: ad una estremità presenta un anello incompleto ricavato a risparmio dal tronco di faggio e all’altra estremità, seppur mal conservato, è presente un piccolo residuo che potrebbe far pensare sempre allo stesso elemento. Gli studiosi a tal proposito hanno fornito varie interpretazioni funzionali ma quella più accreditata è che i fori servissero a collegare due piroghe per realizzare un’imbarcazione a scafo doppio. Questa soluzione garantiva senz’altro maggiore stabilità e velocità ed inoltre una piattaforma appoggiata sui due scafi poteva accrescere di molto la capacità di carico. Purtroppo, però, nel caso del nostro manufatto, in mancanza di giudizi certi, il significato delle appendici alle due estremità resta al momento dubbio.

   Quanto agli impieghi di questo tipo di imbarcazione, ad oggi la letteratura specifica ha messo in evidenza la difficoltà di procedere oltre generici rilievi, individuando gli impieghi prevalenti delle piroghe. Le sole dimensioni non costituiscono un adeguato criterio di analisi. In questo caso, comunque, in mancanza di calcoli idrostatici specifici si può solo osservare come la forma della sezione trasversale sia quella che consente di trasportare in genere i carichi minori. L’ipotesi più probabile è, perciò, che fosse un’imbarcazione utilizzata esclusivamente per la pesca e per la raccolta di erbe lacustri.

 


 

La Navigazione nelle acque interne dell’Italia centrale

 

SALA DEI MODELLI

 

    Il Museo di Capodimonte ospita al suo interno, oltre che la piroga preistorica, altri tipi di imbarcazioni, alcune ricostruite e altre originali, che contribuiscono a proseguire e completare la storia della loro antenata.

    Le prime che si incontrano, dopo la visita alla grande monossile, sono i dieci modellini in legno che riproducono alcuni tipi di imbarcazioni in uso nelle acque interne dell’Italia centrale a partire dall’Età del Bronzo fino al XX secolo. Appena si entra in questa sala al centro vengono fornite tutte le informazioni sulla piroga esposta e sulla piroga rimasta sul fondo del lago: due teche in plexiglass corredate da didascalie espongono alcuni modellini che permettono di capire bene la forma delle due imbarcazioni.

    Proseguendo in senso orario, lungo il perimetro della stanza sono esposti i modellini in legno di altre 7 imbarcazioni, ognuna delle quali ha una particolare storia da raccontare. Andando per ordine, la prima teca che s’incontra contiene il modello in scala dell’unica imbarcazione monossile ritrovata finora in una necropoli, la barca etrusca del Caolino, che racconta di un probabile proprietario pescatore. È oggi possibile ammirarne l’originale presso il Museo ‘L. Pigorini’ di Roma.

   La seconda teca contiene il modellino della “Nave F” affondata nell’antico porto fluviale romano di Pisa che permette di raccontare l’organizzazione dei porti in epoca classica. Il relitto originale è oggi conservato a Pisa, presso l’area archeologica del porto.

   Proseguendo nella visita, la terza e la quarta teca, mettendo a confronto due modelli di imbarcazioni di epoca basso medievale, dimostrano come affianco alla barca composta persistesse ancora a quel tempo l’uso delle piroghe. Il modellino della monossile del Trasimeno racconta proprio questa persistenza. L’originale è oggi visibile presso il Museo delle barche di Passignano sul Trasimento (PG). Quanto al secondo modellino, esso riproduce la barca del lago di Piediluco (TR), ricostruita non da scafi realmente esistenti ma dal bassorilievo del XIV secolo scolpito sul portale della chiesa di San Francesco. Questo tipo di imbarcazione di età medievale è giunta quasi immutata fino all’inizio del XX secolo.

   Infine, la persistenza dell’uso delle piroghe nel tempo, è ancor più avvalorata dalla monossile delle paludi Pontine ancora in uso tra il XIX e il XX secolo. La quinta teca racconta proprio la storia di una piroga di cui non si hanno più esemplari e che è stata perciò ricostruita da immagini di dipinti di epoca moderna.

    Il percorso sulla navigazione nelle acque interne dell’Italia centrale si conclude con due teche che espongono i modellini della barca tradizionale da pesca usata sul Tevere fino alla seconda metà del Novecento e quella ancora oggi in uso sul Lago di Bolsena.

 

 

Il Relitto delle tegole di Punta Zingara

 

    La Sala dei Modelli del Museo di Capodimonte espone un altro ritrovamento subacqueo: il relitto delle tegole di Punta Zingara dell’Isola Bisentina, esposto e illustrato attraverso il grande foto-mosaico che occupa un’intera parete della sala. Al di sotto di questo, i laterizi sono impilati come dovevano essere nel sistema di carico originale,mentre un modellino mostra il sistema di messa in opera su un tetto.

    Le tegole e i coppi esposti facevano parte del carico di una piccola imbarcazione di cui, purtroppo, non è rimasta traccia. Rinvenuto nel 1990 da Paolo Monachello dell’equipe subacquea del Museo Territoriale del lago di Bolsena, una parte del carico giace ancora sul fondo ad una profondità di 13 metri ed occupa un’area di circa 50 mq. Una piccola porzione di questo materiale è stata invece recuperata per essere esposta al Museo di Capodimonte. Quanto alla datazione, allo stato attuale delle ricerche non sembra possibile proporne ancora una certa anche se tegole analoghe erano in uso nel Lazio dall’età etrusca sino a tutta l’età romana.

 

 

La ‘Naue’ del Lago di Posta Fibreno

 

   La grande Sala Conferenze del Museo di Capodimonte ospita due imbarcazioni originali con le quali si conclude il percorso di visita. Una è la barca tradizionale del Lago di Bolsena e l’altra è la barca del Lago di Posta Fibreno, al confine tra Lazio e Abruzzo, datata tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Quest’ultima, chiamata ‘Naue’ dalla gente del posto, ha un paio di storie da raccontare: sul suo utilizzo e sulla sua musealizzazione. Quanto al primo, il fondo piatto e le sponde molto basse consentivano, oltre che l’uso tradizionale per la pesca, anche il trasporto di alghe ed erbe lacustri raccolte nel lago da utilizzare come foraggio. Quanto alla sua storia individuale, l’esemplare esposto è stato dato in deposito al Museo da Enrico Gelosi, ex direttore dello Stabilimento Ittiogenico di Roma e del Museo didattico ad esso collegato. Quest’ultimo era un museo specifico sui pesci e sulla pesca nei fiumi e nei laghi della regione e tra i tanti oggetti esposti conservava anche la Naue in questione. Alla fine del 2008 lo Stabilimento e, quindi, anche il Museo furono chiusi e la barca fu donata dal Gelosi al Museo di Capodimonte.


 

 

La ‘Bbarka’ del Lago di Bolsena

 

   Presso Museo della Navigazione di Capodimonte chiude idealmente il ciclo del racconto iniziato dalla piroga, la barca tradizionale usata per la pesca nel lago di Bolsena, comunemente conosciuta come la ‘bbarka’. Questo tipo di imbarcazione ha una tipica forma triangolare, il fondo piatto ed una lunghezza di quasi 7 metri. Lo scafo è costituito da dieci tavole di legno di cerro, tre per ogni fianco e quattro per il fondo, tenute insieme da tavolette e da costole realizzate con rami di olivo. Gli scalmi sono costituiti da un ferro al quale viene legato il remo, per mezzo di stracci o pezzi di rete. Dalla metà del XX secolo i remi furono sostituiti da piccoli motori fuoribordo posti a poppa e al legno si sostituì la vetroresina, più resistente all’acqua e con una manutenzione molto più semplice. Tuttora è ancora possibile vederne qualche esemplare in uso tra i pescatori.

   Quanto alla storia di questa imbarcazione, si hanno notizie del suo utilizzo sin dal 1462, al tempo in cui, per sfuggire al contagio della peste, papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini) fu ospite della famiglia Farnese nella Rocca di Capodimonte.

   L’esemplare esposto al museo è ricostruito in legno a dimensioni reali, è funzionante ed è stato realizzato nel 2008 da due degli ultimi maestri d’ascia del viterbese capaci di costruire questo tipo di barche, Luigi e Paolo Papini: la ‘bbarka’ ha avuto il suo battesimo dell’acqua proprio davanti al porto di Capodimonte e potrà un giorno navigare ancora, davanti al Museo che racconta la storia della piroga sua antenata.

 


 

 

Storia del Museo

 

     Il Museo della Navigazione nelle acque interne di Capodimonte, in provincia di Viterbo, nasce come ‘museo della piroga’, cioè per presentare al pubblico la grande piroga preistorica rinvenuta nelle acque del Lago di Bolsena, nei pressi dell’Isola Bisentina, nel 1989. Da quella data, ci sono voluti ben 21 anni di impegno da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale e dell’Amministrazione Comunale di Capodimonte, per realizzare il complesso progetto di recupero e restauro del manufatto ed infine allestimento del museo. L’apertura dello stesso è avvenuta, infatti, soltanto nel 2010.

    Subito dopo il recupero del relitto si è cominciato a pensare alla sede della sua esposizione che non poteva che essere a Capodimonte. Il Comune mise, quindi, a disposizione i locali dell’ex mattatoio e a sue spese realizzò i lavori di adeguamento edilizio, prima per ospitare il laboratorio di restauro e poi per il museo. A questi lavori seguì nel 2003 l’elaborazione del progetto di allestimento, la cui realizzazione iniziò nel 2005. Quanto a quest’ultimo, dopo diverse proposte, si optò per uno spazio interamente dedicato all’esposizione che, traendo spunto dalla piroga, proponesse una panoramica della navigazione nelle acque interne dell’Italia centrale dalla Preistoria fino all’Età Moderna. Gli allenstitori hanno, infatti, voluto presentare il manufatto non come un oggetto storico da inquadrare soltanto sotto un profilo cronologico e tipologico ma bensì come un oggetto comunicativo, cioè come un’imbarcazione, che ha tutta una sua storia da raccontare. Da qui la scelta di intitolare il museo non ‘della piroga’ ma bensì ‘della navigazione nelle acque interne’.

   Quanto alla struttura dell’edificio, costruita nel secolo scorso per essere utilizzata come mattatoio comunale, è stata adeguata alle funzioni espositive con poche operazioni di demolizione e ricostruzione. Come si può osservare dalla planimetria, una spina centrale di servizi ed impianti riduce a due le parti principali dell’edificio: la sala per mostre e conferenze, ristrutturata per accogliere il Centro Culturale “V. Fanelli”, e l’ambiente con la grande vasca, utilizzato prima per il restauro della piroga ed infine trasformato nella nuova Sala Espositiva. Quanto alla prima, la Sala Conferenze, è stata fornita di un sistema audio e videoproiezione fisso e reso adattabile a diverse iniziative grazie all’inserimento di una parete di legno scorrevole al centro. Questa permette, infatti, di suddividere il grande spazio in due ambienti più piccoli che consentono due usi diversi anche nello stesso momento. La Sala Conferenze è separata dall’ambiente espositivo vero e proprio da una spina dorsale che accorpa organicamente diversi servizi: l’ingresso al museo, il punto accoglienza, i bagni, la Mediateca e la Sala Lettura.

    Il percorso di visita inizia alla sinistra dell’ingresso principale e si articola in tre sale espositive, diverse per grandezza e per funzioni. La prima che s’incontra è una piccola sala che funge da introduzione, provvista di una contro-parete di legno che fodera interamente il muro e nasconde gli impianti tecnici. Questa ‘fodera’ di legno bianca è utilizzata come schermo di proiezione di immagini e suoni che servono da introduzione ‘emotiva’ per lo spettatore. Evocano, infatti, l’affondamento, la scoperta e il recupero della piroga.

    Finita la proiezione, il percorso prosegue in quella che è la sala espositiva principale e cioè la Sala della Piroga. Qui l’imbarcazione originale si rivela calata nel suo habitat naturale, all’interno di una grande teca piramidale, con alle spalle una gigantografia del lago con l’Isola Bisentina e per terra un suggestivo allestimento ricostruttivo del fondale lacustre.

    Il percorso prosegue poi da questa sala principale alla Sala dei Modelli, in cui al centro sono presenti due teche contenenti due ipotesi ricostruttive delle funzioni della piroga e tutto intorno alle pareti è sviluppato, tramite i modellini ricostruiti, il tema della navigazione nelle acque interne dell’Italia Centrale dal VIII secolo a.C. al XX secolo d.C.